«Prefazione di Anna D’Angelo»
“La scrittura di Jacopo Landi riesce a stordire l’anima, a lacerarti quell’intenzione che diventa immediatamente accadimento, circostanza, nugolo di fatti.
Corrispondenza in Paradiso è una lettera che Jacopo scrive al suo migliore amico, mancato in un tragico incidente un anno fa, parole che vanno oltre la linea terrestre, parole che lasciano trasparire un amore incondizionato, longanimità nella pur severa protezione che aveva nei suoi confronti
Righe di una determinata consapevolezza sulla personalizzazione della morte che avverrà solo insieme, poichè nella solidità di un rapporto non c’è mai chi se ne va prima o dopo, si va insieme. Insieme prende una forma di congiunzione suprema”
Èil 26 marzo del 2022. Sono le cinque del mattino, le sei forse. Un sussulto ma non gli do peso. Quella notte mi sono addormentato sul divano, come capita spesso quando il film tira lungo e il gomito ha fatto il proprio dovere.
Mi risveglio diverse ore dopo, insolitamente tardi per le mie abitudini. Sono le nove, forse già sbeccate da mezzora. Regalo al mondo una pisciata di prepotente arroganza e notevole ritmicità. Mi preparo un caffè, lo annacquo nel latte. Parto con la rassegna stampa.
Un improvviso, inatteso, traffico di messaggi intasa il telefono, innescando il porcotroiare. “Macheccazz c’avete da dire alle nove del fottuto mattino”. Faccio mente locale ma sono sicuro al 63% di aver passato la notte prima da solo. Prendo il telefono. Non ho messaggi di manifesto rancore o di cortese ringraziamento per 45 secondi di sesso e successivi trentacinque minuti di pianto.
Sono i ragazzi. Ohibò. Svegli, alle nove. La cosa switcha velocemente dalla curiosità all’attenzione sospettosa.
”Raga avete sentito Ema? Non risponde a nessuno e non è rientrato a casa stanotte”.
Tiro un sospiro di sollievo. Che Ema non sia tornato a casa è affare normale come le compravendite fumose sotto i leoni in Centrale.
”Raga, Ema torna a casa sua solo per cambiarsi. State tranquilli, avrà seguito qualche cagnetta in una tana d’amore”. Sentenzio.
”Eh boh.Sulla strada per casa sua c’è stato un frontale. E’ coinvolta una 600 rossa, come la sua. Gli articoli parlano di un uomo di 34 anni”.
Mi viene risposto.
“A posto ragazzi. Nessuno con del sale in zucca o semplicemente con degli occhi funzionanti definirebbe Emanuele “un uomo”. E’ solo una sfortunata coincidenza”. Li tranquillizzo, tranquillizzando me stesso. Ema non raggiunge il metro e ottanta, pesa 15 kili con i vestiti e ha gli occhi buoni. Nessuno potrebbe scambiarlo per un uomo, nessuno.
Come se l’uso di un sostantivo invece di un altro fosse la prova solidissima che colloca il maggiordomo col candelabro in un’altra stanza molto lontana da quella in cui si trova il mio amico.
Segue un periodo di silenzio che coincide con l’assenza di notizie. E posso serenamente affermare che chi ha coniato il termine “ nessuna nuova, buona nuova” è un coglione.
Prendo in mano il telefono. Mi chiamano. “Eh guarda è proprio Ema”.
“Ok grazie”.
Non dico più niente. Neanche perchè al termine di una telefonata maledetta abbia detto “grazie”.
Apro tutti gli articoli che riesco a trovare sperando che qualcuno cambi il finale o almeno ammetta lo scherzo di pessimo gusto.
Nelle ore seguenti piango poco, forse niente.
Chiamo tutti i comandi di polizia della provincia lombarda. Sento la famiglia. Rispondo ad amici più o meno stretti e a semplici satelliti che per un istante o due sono transitati nella sua orbita fatta di amicizia fisica e accoglienza infantile.
Faccio il mio. Poi chiudo, spengo.
So che il tutto arriverà col silenzio che cala dopo l’ultimo saluto. Faccio una cosa che non faccio mai, guardo un horror a basso budget, una cosa totalmente da Emanuele.
“Terrifier” il titolo del film, una cazzatona da trenta dollari con cattiveria a fiumi, sangue a litri e buchi di sceneggiatura che fanno male al cranio.
La mia giornata e quindici anni di vita terminano in quel momento. Uno di noi due se n’è andato nel Jesus time ma senza barare con trucchetti e magie.
Chapeau.
Te na vai per una cintura non indossata. Quante volte ti ho picchiato forte affinchè te la mettessi?
Solo adesso capisco che avevi ragione tu. Chi deve fare i conti con una scintilla di unicità può vivere solo a modo proprio. Libero, veloce come un lampo , fragoroso come un tuono che si schianta incurante dell’autoconservazione.
Al funerale mi presento con un discorso in tre punti. Non lo leggerò mai. Troppo. Troppo tutto. Il silenzio è l’unica sfera di intimità in cui posso accompagnare il mio fratellino senza essere raggiunto.
365 giorni dopo..
Oggi ti immagino incatramato da mille siga elettriche che conservi nelle tasche di jeans di tre taglie più larghi perchè “non c’ho sbatti di buttarle”. Mezzo scalzo, senza casco su un monopattino elettrico che uno sconosciuto ti ha regalato mentre mi chiami per ricordarmi che “Besozzo al cazzo è solo a mezz’ora da casa tua” e stasera potremmo fare qualcosa per cena. Che l’ultima serie di Disney Channel “posso dirtelo”?!? Spacca” e che comunque a te Fedez piace perchè ”èbbravo”.
Questo pezzo è costato diverse lacrime ma mai quanto i sorrisi che hai saputo regalarmi, regalarci e che ancora ci strappi da lassù, piccolo Pezzo di Fango. Piangere per te è un privilegio, il metro migliore, la mia trottola che non cade , per ricordarmi che c’è stato un mondo fatto di leggerezza , fraternità e sorrisi. Mi hai salvato in tutti i modi in cui una persona possa essere salvata e io non lascerò mai che tu muoia prima di me. Ce ne andremo insieme come sarebbe sempre dovuto essere.
Nella luce e nella musica. Tutto il resto è solo silenzio.
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